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eugenio anieghin 87

spleen inglese, vale a dire l’ipocondria russa, lo invase poco a poco. La Dio mercè egli non cercò di farsi saltar le cervella, ma si svogliò di tutto. Divenne burbero e tetro come Childe Harold. Nè i pettegolezzi della città, nè il gioco del boston, nè le provocatrici occhiate, nè i sospiri indiscreti lo commovevano, e non vi badava nemmeno.

In primo luogo, egli abbandonò le fantastiche dame della alta società. A dir vero, il bon ton d’oggi giorno è bastantemente seccante. Sebbene alcune signore siano in grado di spiegare Say e Bentham, ciò non ostante, ad onta di quell’innocuo cicalío, la loro compagnia è intollerabile. Di più esse sono così caste, così maestose, così spiritose, così pie, così guardinghe, così puntuali, così inespugnabili, che la sola vista loro ti appicca lo spleen.

E voi, o forosette, cui ad ora avanzata un rapido droschi mena in giro per le vie di San Pietroburgo, il mio Eugenio piantò lì anche voi. Disertore dei divertimenti sregolati, Anieghin si rinserrò nella sua camera, prese carta e calamaio, e volle scrivere; ma quella applicazione improba gli fiaccò le forze. Quindi egli non entrò nella setta di quelli uomini violenti, che io non condannerò perchè io sono di quel numero uno.

Nuovamente in preda all’ozio, straziato dall’inedia del cuore, schierò un battaglione di libri sulli scaffali della sua biblioteca, e s’assise col lodevole intento di far suo proprio l’ingegno altrui. Lesse, lesse, lesse, ma senza scopo e senza frutto; ove trovò la noia, ove l’inganno e la follia. Tale autore non ha coscienza, tale altro non ha giudizio; cia-