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eugenio anieghin. 83

Potrei qui dilungarmi in descrivere la toelette d’Eugenio, e attrarre l’attenzione degli eruditi sul suo abbigliamento; ma convien ch’io rinunzi a tale impresa, poichè la lingua russa non ha voci corrispondenti a pantalon, frac, gilet. E d’altronde m’accorgo e confesso con schiettezza, che il mio sciagurato stile pur troppo è gia zeppo di espressioni esotiche, sebben per iscansarle io spesso scartabelli il Dizionario dell’Accademia.

Ma ora di tutt’altro dobbiamo intrattenerci. Fa d’uopo che ci rechiamo alla festa di ballo ove Anieghin s’avvia in una calescia da nolo. Sulle facciate oscure delle case, pel lastricato silenzioso delle strade, i fanali delle carrozze spandono un giocondo chiarore che si refrange in mille archibaleni sulla neve. Il nostro eroe smonta all’ingresso d’un suntuoso palazzo, splendidamente illuminato. Si vedono passare e ripassare alle finestre, innumerevoli ombre e profili di teste di signore e di cavalieri.

Anieghin si slancia nel peristilio, vola come strale davanti allo introduttore svizzero1, sul pavimento di marmo. Si liscia i capelli colla mano, ed entra nella sala di conversazione. È piena gremita di gente, e i musicanti cominciano a essere stanchi. Gli invitati danzano la masurca. Dappertutto chiasso e calca straordinaria; ronzano gli speroni dei chevaliers gardes,2 guizzano e trepidano i piedini delle gentili dame;

  1. Le Suisse, ossia introduttore, secondo uso di Francia. Così chiamato perchè i primi che adempirono quello officio erano Svizzeri, ma poi furono anche Francesi, come per esempio Petit-Jean, il quale dice nei Plaideurs di Racine:

    Il m’avait fait venir d’Amiens pour être Suisse.

    Atto I, Sc. I.

  2. Guardie particolari dell’imperatore.