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78 | eugenio anieghin |
l’audacia, e a volte s’irrugiadava di obedienti lacrime.
Sapeva comparire sempre nuovo alle belle, sapeva commoverle con finte disperazioni, ammaliarle con melate lusinghe, coglier l’istante di debolezza, accalappiare l’innocenza burlando, sperdere a forza di logica e di passione i pregiudizi dell’inesperienza, aspettare una carezza involontaria, implorare ed esigere una dichiarazione, sorprendere i primi palpiti di un cuore vergine, inseguire senza posa la preda, e alfine ottenere dalla impietosita un misterioso appuntamento in cui le dava lezioni particolari d’amore. Oh, come sapeva confondere l’astuzia delle civette sfacciate! Quando voleva sfrattare, i rivali con che impudenza li denigrava! Che insidie tendeva sui loro passi! Ma voi, fortunati sposi, rimanevate suoi amici. Il marito scaltro, antico discepolo di Faublas; l’incredulo vecchio, maestoso capricorno, sempre contento di sè stesso, del suo secolo e di sua moglie, piaggiavano a gara il nostro Eugenio.
Talvolta, mentre era tuttora in letto gli pioveva in camera un diluvio di bigliettini. Che saranno mai? Inviti? Di fatto, a un tempo stesso è pregato a conversazione in tre case diverse. In una v’è festa di ballo; in un’altra, ricreazione di bambini. In quale di questi posti si condurrà il nostro scapato? Con quale comincerà il suo giro? Poco importa, purchè vada in tutti. Frattanto si veste da mattino, prende il suo largo bolivar,1 corre al boulevard, passeggia in su e in giù finchè il suo infallibile Breguet2 gli segni l’ora del pranzo.