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canto ventesimo. 85

12 Tu lo vendesti al mastro giustiziere.
     Disse il pastor: Cotesto non si nega;
     Io l’allevai puledro quel corsiere;
     E ’l me’ che sa le sue ragione allega.
     Gan finalmente lo fece tenere
     Da due pastori, e ’l capresto gli lega,
     E sopra un alto sughero impiccollo,
     E lascial quivi appiccato pel collo.

13 Dette di piede al suo Mattafellone,
     E ritornossi in su la mastra strada.
     Trovò certi giganti in un vallone,
     E vollongli la man porre alla spada:
     Gan si scostò; diceva un compagnone:
     Noi vorremo saper dove tu vada,
     E se tu se’ Saracino o Cristiano,
     Tanto che ’l nome suo disse allor Gano.

14 Un di questi giganti gli rispose:
     Tu suogli essere il fior de’ traditori:
     Tu hai già fatte tante laide cose,
     Che fia mercè punirti de’ tuo’errori.
     Gan presto la sua lancia in resta pose,
     E per disdegno par che si rincuori:
     E ’l primo de’ giganti ch’egli afferra,
     Lo traboccava morto in su la terra.

15 Gli altri gli son con mazzafrusti addosso;
     Gan con la spada da lor si difende,
     E taglia a uno il naso insino all’osso;
     Ma intanto l’altro di drieto lo prende,
     E finalmente dell’arcion l’ha mosso,
     Tanto che Gan per forza se gli arrende,
     E portalo di peso in un palagio,
     Per istraziarlo a lor modo per agio.

16 E dicean tutti: Stu vuoi dire il vero,
     Rinaldo qua ti manda per ispia;
     Ma non è riuscito il suo pensiero:
     Noi vogliamo or saper dove quel sia;
     Perchè, passando per questo sentiero,
     A un nostro fratel fe villania,
     Ed ammazzollo per uno stran modo,
     Ma d’ogni cosa pagherai tu il frodo.