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70 il morgante maggiore.

127 Non domandar se Margutte s’affanna,
     E se parea di casa più che ’l gatto,
     E dice: Corpo mio, fatti capanna,16
     Ch’io t’ho a disfar le grinze a questo tratto:
     Vedi che qui da ciel piove la manna!
     E salta per letizia com’un matto;
     E stava sempre pinzo e grasso ed unto,
     E della gola ritruova ogni punto.

128 Mentre ch’io ero, diceva, in Egina,
     Non soleva questa esser la mia arte?
     Così ci fussi la mia concubina,
     Ch’io gli porrei delle cose da parte.
     Ma come il cuoco lascia la cucina,
     Così dalla ragion certo si parte;
     Così, come Margutte di qui esce,
     Sarà come a cavar dell’acqua un pesce.

129 E finalmente e’ provedeva bene
     La mensa di vivande di vantaggio,
     E d’ogni cosa che in tavola viene
     Sempre faceva la credenza e ’l saggio,
     E qualche buon boccon per sè ritiene,
     E ’n corbona metteva, come saggio:
     Alcuna volta nella cella andava,
     E pel cucchiume le botte assaggiava;

130 E sapea sopra ciò mille malizie:
     Per casa ciò che truova mal riposto
     E’ rassettava con sue masserizie
     In un fardel che teneva nascosto;
     In pochi dì vi fe cento tristizie,
     E più facea, se non partia sì tosto:
     Contaminò con lusinghe e con prezzi
     Ischiave e more, e moricini e ghezzi.

131 A ogni cosa tirava l’aiuolo,
     E faceva ogni cosa alla moresca;
     La notte al capezzal sempre ha l’orciuolo,
     E pane e carne, in gozziviglia e ’n tresca:
     Poi rimbeccava un tratto il lusignuolo,
     E ritrovava, acciò che ’l sonno gli esca,
     Tutti i peccati suoi di grado in grado,
     E sempre in mano avea il bicchiere o ’l dado,