152 Orlando ficcò in terra Durlindana,
Poi l’abbracciò, e dicea: Fammi degno,
Signor, ch’io ricognosca la via piana;
Questa sia in luogo di quel santo legno
Dove patì la giusta carne umana,
Sì che il cielo e la terra ne fe’ segno;
E non sanza alto misterio gridasti:
Elì, Elì; tanto martír portasti.
153 Così tutto serafico al ciel fisso,
Una cosa parea transfigurata,
E che parlassi col suo Crucifisso:
O dolce fine, o anima ben nata,
O santo vecchio, o ben nel mondo visso.
E finalmente, la testa inclinata,
Prese la terra come gli fu detto,
E l’anima spirò del casto petto;
154 Ma prima il corpo compose alla spada,
Le braccia in croce, e ’l petto al pome fitto;
Ma poi si sentì un tuon, che par che cada
Il ciel, che certo allor s’aperse al gitto;
E come nuvoletta che in su vada, In exitu Israel, cantar, de Egitto
Sentito fu dagli angeli solenne;
Che si cognobbe al tremolar le penne.
155 Poi apparì molte altre cose belle,
Perchè quel santo nimbo a poco a poco
Tanti lumi scoprì, tante fiammelle,
Che tutta l’aer pareva di foco,
E sempre raggi cadean dalle stelle;
Poi si sentì con un suon dolce e roco
Certa armonia con sì soavi accenti,
Che ben parea d’angelici instrumenti.
156 Turpino e gli altri accesi d’un fervore
Eran, che ignun già non parea più desso:
Perchè quel foco dello eterno amore,
Quando per grazia ci si fa sì presso,
Conforta e scalda sì l’anima e ’l core
Che ci dà forza d’obliar sè stesso;
E pensi ognun quanto fussi il lor zelo,
Veder portarne quell’anima in cielo.