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338 il morgante maggiore.

119 Ch’e’ sapeva anche simulare e fingere
     Castità, santimonia e devozione,
     E la sua vita per modo dipingere,
     Che il popol n’ebbe un tempo espettazione.
     Ma perch’io sento la battaglia stringere,
     Diciam che si dolea di Falserone,
     E bestemmiava il ciel devotamente,
     Pur come io dissi, in modo ch’ognun sente.

120 Sia maladetto il dì, che il conte Gano
     A Siragozza quel malvagio,venne,
     Che mi mostrò di porre il cielo in mano
     Dov’io credetti volar sanza penne:
     Ch’e’ mi rendea la Spagna Carlo Mano
     D’accordo in pace: oh, quante volte avvenne,
     Che si ricorda un detto savio antico,
     Che l’uomo ha solo il meglio per nimico!

121 Bianciardin, tu mi dicesti tanto,
     Allor ch’io vidi la fonte turbare,
     Ch’io mi dovessi confortare alquanto,
     Però che quel dovea significare
     De’ Cristian solo il loro ultimo pianto;
     Dicesti ch’era il sangu,e che versare
     E sparger si dovea de’ cor cristiani.
     Ma pure alfin sarà quel de’ Pagani.

122 Ed io pur semplicetto fui e folle,
     E non credetti a tanti strani augúri,
     Chè qualche deità benigna volle
     Ammaestrarmi de’ casi futuri,
     Sanza chiamar gli spirti nelle ampolle,
     E i nigromanti, a interpetrare oscuri:
     Omè, che ’l ver m’apparve in chiaro specchio,
     Ma troppo a quel ch’i’ volli posi orecchio!

123 Ed or tra male branche son condotto,
     E Falserone è morto, e più non posso;
     Il campo al primo assalto è quasi rotto,
     E so che Carlo a furia sarà mosso,
     Chè il tradimento sentirà di botto:
     Tanto che tosto Ibèro sarà rosso,
     Che e’ mi par già veder di sangue sozza
     E in pianti e strida ed urla Siragozza.