29 Quant’io per me, qual mansueto agnello
Me ne vo, come Isacche, al sacrificio,
Bench’io vegga già fuor tutto il coltello;
Ch’io sento già quello eterno giudicio,
Dove fia giudicato il buono e il fello,
Tosto fia ministrato il grande oficio: Venite, benedicti patris mei;
E nell’inferno discacciati i rei.
30 Però, mentre di vita ancor ci avanza,
Perchè il fine è quel ch’ogni cosa onora,
Ognun di paladin mostri possanza,
Acciò che il corpo solamente mora;
Ed abbiate buon cor sanza speranza,
Perch’io non so quel che si fia ancora;
E spesso ove i rimedii sono scarsi,
Fu a molti salute il desperarsi.
31 E’ m’incresce che Carlo in sua vecchiezza
Vedrà forse pur fin posto al suo regno
Di Francia bella, e di sua gentilezza,
Perch’egli è stato imperator pur degno;
Ma ciò che sale, alfin vien poi in bassezza;
Tutte cose mortal vanno a un segno:
Mentre l’una sormonta, un’altra cade:
Così fia forse di Cristianitade.
32 E increscemi del mio fratel Rinaldo,
Ch’io non lo vegga innanzi alla mia morte
A punir questo traditor ribaldo;
E come cosa immaginata forte,
Non posso in un proposito star saldo;
E par che nella mente mi conforte
Un pensier che mi dica: egli è qui presso:
E guardo ognun ch’io veggo, s’egli è desso.
33 La cagion perchè il corno io non sonai,
è per veder quel che sa far fortuna:
Non vo’ che ignun se ne vanti giammai
Ch’io lo sonassi per viltà nessuna:
Prima fien tenebrosi in cielo i rai,
Prima il sole arà lume dalla luna,
Forse a Marsilio pria trarrò l’orgoglio,
E con questo pensier sol morir voglio.