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canto ventesimoquinto. 311

324 Dracopopode, Armene e Calcatrice,
     Irundo, Asordio, Arache, Altinanite,
     Centupede e Cornude e Rimatrice,
     Naderos molto è solitario immite,
     Beruse e Boa e Passer e Natrice,
     Che Luciana non avea sentite,
     E Andrio, Edisimon e Arbatraffa;
     E non si ricordò della Giraffa.

325 E degli uccelli Ibis, che par cicogna,
     Perchè e’ si pasce d’uova di serpente;
     Fassi il cristeo al tempo che bisogna
     Con l’acqua salsa, chi v’ha posto mente,
     Rivolto al culo il becco per zampogna:
     Che la natura sagace e prudente
     Intese, mediante questo uccello,
     Apparar poi i fisici da quello.

326 Agotile, appellato caprimulgo,
     Poppa le capre sì che il latte secca;
     E Chite, uccello ignorato dal vulgo,
     La madre e ’l padre in senettute imbecca;
     Un altro è appellato Cinamulgo,
     Del qual chi mangia, le dita si lecca,
     E non ispari il ghiotto questo uccello,
     Perchè di spezierie si pasce quello.

327 Meonide ancor son famosi uccelli,
     Che fanno appena creder quel che è scritto,
     Però ch’ogni cinque anni vengon quelli
     Di Meone al sepulcro insin d’Egitto;
     Combatton quivi, o gran misteri e belli!
     Mostrando pianto naturale afflitto,
     Come facessin l’esequie e ’l mortoro,
     Poi si ritornon nel paese loro.

328 Ed Ardea quasi l’aghiron simiglia,
     Che fugge sopra i nugol la tempesta;
     Goredul ciò che per ventura piglia,
     Del cor si pasce, e l’avanzo si resta;
     Carita vola e parrà maraviglia,
     Per mezzo il foco, e non incende questa.
     Nè so se ancora un uccel cognoscete,
     Nimico al corbo, appellato Corete.