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304 il morgante maggiore.

289 Rinaldo, quando vide Siragozza
     E ’l fiume Iber, pargli una cosa strana
     Che così tosto la via fussi mozza,
     E ricordossi pur di Luciana;
     Non so se questa volta parrà sozza:
     E come e’ giunse sopra alla fiumana,
     Disse: Astarotte, poi che presso siamo,
     Io vo’ per mezzo la terra passiamo,

290 E squadrar le fortezze d’ogni banda:
     Però di questo mi contenterai;
     E quel che facci or la reina Blanda,
     Dimmi, ti priego, ch’ogni cosa sai.
     Disse Astarotte: In punto è la vivanda,
     E se con essa desinar vorrai,
     Appiè della sua mensa ci porremo;
     Non domandar se noi trionferemo.

291 Or m’ha’ tu il gorgozzul grattato e l’occhio,
     Disse Rinaldo, ch’io veggo la fame,
     E non è tempo a indugiarsi al finocchio;
     Noi ci staremo un poco con le dame:
     E gratteren col piè loro il ginocchio,
     Ed udirem dir mille belle trame
     Di Roncisvalle, e forse il tradimento.
     Disse il diavol: Tu sarai contento.

292 E come e’ furno in Siragozza entrati,
     Non vi si vede bestie nè persone,
     Chè solo i moricini eron restati;
     E non si truova un uom per testimone,
     Chè tutti alla battaglia sono andati
     In Roncisvalle con Marsilione:
     Dunque al palagio in corte dismontorno:
     La prima cosa, i destrier governorno.

293 E Farferello il famiglio facea,
     Ed orzo e fien traboccava a’ cavalli;
     Per che il maestro di stalla dicea:
     Chi è costui? a certi suoi vassalli;
     Ognun risponde che nol cognoscea.
     Ma Farferel due occhi rossi e gialli
     Gli strabuzzò, poi gli fece paura
     Con un baston ch’è di lunga misura.