279 E di’ ch’io fui cattivo insin nel cielo,
Pensi quel ch’io son fatto negli abissi;
E che m’avea molto tondo di pelo,
A creder che il suo inganno riuscissi;
E tu credevi abbagliarmi col velo,
E che Baiardo al tuo fischio venissi:
Tra furbo e furbo, sai, non si camuffa,
Vienne tu, dico, a veder questa zuffa.
280 Rinaldo, quando intese il parlar, subito
Si fermò col caval turbato e presto,
Ch’era presso alla fonte a men d’un cubito;
E disse: Dimmi quel che vuol dir questo?
O Astarotte: a questa volta io dubito,
E non intendo la chiosa nè ’l testo:
E perch’io so che l’uno e l’altro io erro,
Vorrei saper che cosa è Squarciaferro.
281 Disse Astarotte: Or vuoi tu confessarti?
Sappi che questo è un romito santo,
Che veniva la sete a ricordarti,
Come tu vedi; e quel devoto ammanto
Non è fatto per man de’ vostri sarti.
Rinaldo lo squadrava tutto quanto,
Poi disse: Frate, tu se’ pur de’ nostri;
Chi non ti crederrebbe a’ paternostri?
282 E poi ch’egli ebbe ogni cosa saputo,
Disse: Astarotte, tu se’ pure amico,
Ed io ti son veramente tenuto,
E tanto in verità t’affermo e dico:
Se mai per grazia e’ sarà conceduto
Che il ciel rimuti il suo decreto antico,
Sua legge, sua sentenzia o suo giudicio,
Ricorderommi d’un tal benificio.
283 Altro certo offerir non ti posso ora:
L’anim chi la diè, credo sua sia,
Il resto tutto sai convien che mora:
O sommo amore, o nuova cortesia!
(Vedi che forse ognun si crede ancora
Che questo verso del Petrarca sia,
Ed è già tanto e’ lo disse Rinaldo;
Ma chi non ruba, è chiamato rubaldo.)