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302 il morgante maggiore.

279 E di’ ch’io fui cattivo insin nel cielo,
     Pensi quel ch’io son fatto negli abissi;
     E che m’avea molto tondo di pelo,
     A creder che il suo inganno riuscissi;
     E tu credevi abbagliarmi col velo,
     E che Baiardo al tuo fischio venissi:
     Tra furbo e furbo, sai, non si camuffa,
     Vienne tu, dico, a veder questa zuffa.

280 Rinaldo, quando intese il parlar, subito
     Si fermò col caval turbato e presto,
     Ch’era presso alla fonte a men d’un cubito;
     E disse: Dimmi quel che vuol dir questo?
     O Astarotte: a questa volta io dubito,
     E non intendo la chiosa nè ’l testo:
     E perch’io so che l’uno e l’altro io erro,
     Vorrei saper che cosa è Squarciaferro.

281 Disse Astarotte: Or vuoi tu confessarti?
     Sappi che questo è un romito santo,
     Che veniva la sete a ricordarti,
     Come tu vedi; e quel devoto ammanto
     Non è fatto per man de’ vostri sarti.
     Rinaldo lo squadrava tutto quanto,
     Poi disse: Frate, tu se’ pur de’ nostri;
     Chi non ti crederrebbe a’ paternostri?

282 E poi ch’egli ebbe ogni cosa saputo,
     Disse: Astarotte, tu se’ pure amico,
     Ed io ti son veramente tenuto,
     E tanto in verità t’affermo e dico:
     Se mai per grazia e’ sarà conceduto
     Che il ciel rimuti il suo decreto antico,
     Sua legge, sua sentenzia o suo giudicio,
     Ricorderommi d’un tal benificio.

283 Altro certo offerir non ti posso ora:
     L’anim chi la diè, credo sua sia,
     Il resto tutto sai convien che mora:
     O sommo amore, o nuova cortesia!
     (Vedi che forse ognun si crede ancora
     Che questo verso del Petrarca sia,
     Ed è già tanto e’ lo disse Rinaldo;
     Ma chi non ruba, è chiamato rubaldo.)