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262 il morgante maggiore.

79 Ma benchè nel giardin le triste aguria
     Apparissin, di fuor non fu sentito
     Per la città, nè da’ baroni in curia,
     Onde Marsilio è poi più sbigottito:
     E poi che fu passata questa furia,
     Ed ognuno era attonito e smarrito,
     Cominciò Bianciardino a confortargli,
     Ed a suo modo i segni a interpetrargli.

80 E mostrò con sua arte e sua dottrina,
     Che questi segni appariti sì strani
     Dinotavan l’incendio e la ruina,
     E ’l sangue che fia sparto de’ Cristiani;
     Ma Ganellone altrimenti indovina,
     E ben cognobbe gli argumenti vani:
     E tutta quella notte insino al giorno
     Varie cose alla mente ebbe dìintorno,

81 E combattè col senso la ragione,
     Poi vinse sua natura maladetta:
     L’altra mattina il re Marsilione
     Mandò per tutti i savi di Tolletta,
     Come colui ch'è in gran confusione,
     Che dovessino a lui venire in fretta;
     E non si fida a Bianciardin di questo,
     Chè non s’accorda ben la chiosa e ’l testo.

82 A Siragozza vennon tutti quanti
     A disputar sopra questa matera,
     Magi, astrolagi e molti nigromanti,
     Vaticini, auruspi, che ve n’era
     Gran copia allora, e famosi e prestanti.
     Marsilio contò lor la cosa intera,
     E comandò che debbin dire a quello
     Il vero, come a Nabucco Daniello.

83 Furono insieme adunque gl’indovini,
     E disson, dopo molto disputare,
     Che si potea per Carlo e’ paladini
     Il sangue e queste cose interpetrare,
     Come contra a Marsilio e’ Saracini;
     E d’alcun caso poi particulare
     Ebbon tra lor diverse opinione;
     Pur fecion tutti una conclusione.