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canto ventesimoquarto. 219

49 Era Ulivieri alle volte superbo;
     Gan bisognoe ch’avessi pazienzia,
     E disse: Va’ pur là, ch’io te la serbo:
     Carlo, questo m’è fatto in tua presenzia:
     E dipartissi sanza dir più verbo.
     Carlo gridava: Ah poca reverenzia!
     Superbo, arroganton, bestiale e matto,
     Io ti farò quel che tu cerchi, un tratto.

50 Disse Ulivieri: A te si vorre’ dare
     Tanto in sul cul, che diventassi rosso,
     E farti a Gano il tuo mignon frustare,
     Che t’ha sempre trattato come uom grosso.
     Carlo si volle di sedia levare,
     E trasse il pugnal fuor per irgli addosso;
     Se non che Orlando al Marchese di Vienna
     Che si levassi dalla furia accenna.

51 Poi disse a Carlo Magno il suo parere:
     Che tempo non gli par da perder tempo;
     Ma che si debba al caso provvedere,
     Acciò che i lor remedj sieno a tempo;
     E che il consiglio dovessi assedere
     L’altra mattina, e ritornar per tempo,
     Da poi ch’egli era la sera adirato:
     Chè chi s’adira non è consigliato.

52 E perchè molti autori hanno qui detto,
     Che Ulivier diè la ceffata a Gano,
     Quando e’ fu poi con Bianciardino eletto;
     Parmi che il lor giudicio sia qui strano,
     Di mandar con isdegno e con dispetto
     A trattar pace col gran sire ispano
     Un traditor come era Ganellone;
     E scambian Bianciardin da Falserone.

53 In questo tempo arrivava a Marsilia
     Una nave transcorsa per fortuna,
     E raccontava una trista vigilia
     Di mala festa, che non si digiuna;
     E come Antea già ben trecento milia
     A Babillona e per tutto rauna,
     E come in Francia la guerra è giurata,
     E tuttavia s’apparecchia l’armata.