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canto ventesimoquarto. 217

39 E però si cognosce a quelle il vero.
     Ma dopo Astolfo il conte Orlando disse:
     O Gan, questo ermellin sarà poi nero;
     Meglio era il primo dì che tu morisse,
     Anzi nato non fussi al nostro impero;
     Quanto mal, quante guerre, quante risse
     Son per te seguitate, orrendo mostro,
     Nimico a Dio, infamia al secol nostro!

40 Aveva il signor prima di Brettagna
     Consigliato: A me par che innanzi tratto,
     Sanza saper se c’è dolo o magagna,
     S’impicchi Ganellon, chè fia pur fatto;
     Noi daremo un dì tutti in una ragna,
     Come stornegli in qualche luogo piatto.
     Ma non fu ben questa parola intesa,
     Che presto in Roncisvalle sarà tesa.

41 Rizzossi dopo Salamone Avino,
     Perchè Gan si scusava, e disse: Aspetta,
     Non ti vidi io parlar con Bianciardino
     Nell’orto, e in qua ed in là far la civetta?
     Che dicevi tu i salmi o il mattutino?
     Va, impìccati tu stesso alla giubbetta,4
     Ch’io non so come la terra sostienti;
     Non se’ tu sazio ancor di tradimenti?

42 Disse il Danese: Ascolta un poco, Gano;
     Quel dì che Bianciardin ti disse: Taci;
     E strinseti, io ti vidi, pur la mano,
     Per certo tu trattavi altro che paci:
     E’ m’incresce tu ciurmi Carlo Mano,
     Che non cognosce ancor di Giuda i baci;
     Ed io già veggo le lanterne e’ fusti,
     Come reo traditor che sempre fusti.

43 Gano pur al fine al Danese rispose:
     Io son sempre il berzaglio a ogni mira,
     Ognun fa sopra me sue belle chiose;
     Non mi riprenda il mio signor con ira:
     Con Bianciardino io dissi molte cose,
     Come l’una parola un’altra tira,
     E balza a’ testamenti nuovi e vecchi;
     Tu ci sentisti. perchè avevi orecchi.