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canto ventesimosecondo. 177

174 Gridò Rinaldo: Omè, Baiardo mio,
     E’ sare’ meglio esser con quelle dame,
     Che con questo Pagan crudele e rio,
     Che così scardassato t’ha lo stame;
     Io ti vendicherò, pel nostro Iddio.
     Baiardo il ciuffò presto con le squame;
     Rinaldo un colpo gli diè in su la testa,
     Che gliel partì pel mezzo appunto a sesta.

175 Dunque convien che l’Arpalista sbuchi:
     Venne coperto d’arme, e poi di seta
     La sopravvesta, che par che riluchi
     Come il Sol fra le stelle e la cometa:
     Rinaldo, quando vide tanti bruchi,
     Disse: Costui persona par discreta,
     Recata ha questa per sua cortesia,
     Ch’al mio padron della nave la dia.

176 Poi disse all’Arpalista: Io son venuto,
     Per purgarti d’ogni opra tua cattiva,
     Che sempre se’ di tirannia vivuto,
     O s’alcun legno si rompe alla riva
     Per tutti questi mar, detto m’è suto:
     Ch’io me n’andavo ove si posa Uliva;
     Ma volsi in questa parte il mio cammino,
     Per gastigar sì ingiusto Saracino.

177 Chè so ch’ella fia opera famosa,
     E piacerà a Macon nel ciel per certo.
     Il Saracino, ascoltato ogni cosa,
     Disse: Ribaldo, io t’ho troppo sofferto,
     Chè d’impiccarti più tosto pietosa
     Sarebbe opera suta, e giusto merto,
     Come si fa a’ tuo’ par corsar, che vanno
     Facendo prede, e ruberie, e danno.

178 Disse Rinaldo: Io non fu’ mai pirato.
     E dette presto al caval degli sproni:
     E l’uno e l’altro si fu discostato,
     E tornârsi a ferir con due stangoni,
     Chè l’Arpalista un’abete ha recato,
     Dicendo: Questa svegliar fa i poltroni;
     Con essa n’ho già desti più d’un paio,
     E tu sarai per questo dì il sezzaio.