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canto ventesimosecondo. 147

<poem> 24 Per quel ch’io ci abbi a star, dicea il fellone,

    io lo vo’ consumar quasi in viaggi:
    Io ho al Sepolcro andar, poi al gran Barone,
    E così fare altri peregrinaggi:
    Io mi botai, quand’io ero in prigione:
    Ben so ch’a Cristo ho fatto degli oltraggi,
    E sopra al capo m’è la penitenzia,
    Dond’io n’ho in me vergogna e conscienzia.

25 Disse Rinaldo: Sì che tu hai vergogna!

    Questo a ’gnun modo più tacer non posso;
    Deh, dimmi s’ella è cosa che si sogna,
    Vedi come tu se’ nel viso rosso:
    Con meco questo spender non bisogna:
    Tu m’hai ben, Gano, scorto per uom grosso,
    E così m’hai trattato sempre mai;
    Io ti conosco, mio ser Benlesai;6

26 Io gli ho per alfabeto i tuoi difetti:

    Guarda chi ciurma con meco e miagola!
    Non ti bisogna meco bossoletti,
    Ch’io non ne comperrei cento una fragola;
    E veggo tuttavia tu ti rassetti:
    Che pensi tu mostrarmi la mandragola?
    Io ciurmerei più, Gan, con un sermento,
    Che tu con le tue serpe; or sia contento.

27 Diceva Astolfo: Io non ti credo, Gano,

    Ch’io so pur tu nascesti traditore:
    E’ non s’accorda il contro col sovrano,
    E molto più si discorda il tenore:
    Lascia pur dire a lui di mano in mano,
    Chi vuol côrre il bugiardo e ’l peccatore:
    Ecco costui che teme la vergogna,
    Che salterebbe in aria a una gogna.

28 Ecco la conscienzia di Gioseffe,

    Di Abraam colà, d’Isacche e di Giacobbe!
    Ha fatto a Carlo mille inganni e beffe,
    Tanto ch’egli è condotto un altro Giobbe;
    Ed or che trae pel dado, e dice aleffe,
    Dice ch’ancor Rinaldo mai cognobbe;
    Fatto starebbe a cognoscer te, tristo,
    Distruggitor della Fede di Cristo.


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