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138 il morgante maggiore.

157 Rinaldo, quel cristian c’ha tanta fama,
     Con Ulivieri, Alardo e Ricciardetto,
     E Gan cui traditore il mondo chiama,
     Guicciardo, Malagigi ed un valletto,
     Come e’ si sia, noi non sappiam la trama,
     A Monaca si trovano in effetto;
     Vanno pel mondo, e sai quanto sien forti,
     E soglion dirizzar sempre ta’ torti.

158 Forse conoscon questo Galliano:
     Io me n’andrei a Rinaldo, e ginocchione
     Direi di dargli la città in sua mano,
     Se venissi a punir questo ghiottone;
     Egli è tanto gentil, benigno, umano,
     E molto partigian della ragione,
     Che ne verrà con la sua compagnia,
     E renderatti la tua signoria.

159 E se bisogna, accoccala a Appollino
     E Macometto, e quel che noi diciamo,
     Chè ogni cosa è per voler divino;
     Pensa, sanza cagion non lo facciamo,
     Non guardar più scudier che pellegrino;
     Amici antichi di tua stirpe siamo,
     Forse Ciriffi, ch’andiam nella Mecche:
     Questo ti dee bastar: salamalecche.

160 E dipartîrsi, anzi spariti sono;
     Filiberta restò maravigliata,
     E parvegli il consiglio di lor buono,
     Tanto che infino a Monaca n’è andata;
     Ch’ogni speranza ha messa in abbandono,
     E gioveragli d’esser disperata,
     Come avvien sempre, e che pensar bisogna:
     Chi cerca truova, e chi si dorme sogna.

161 E la fortuna volentieri aiuta,
     Come dice un proverbio ch’ognun sa,
     Gli arditi sempre, e’ timidi rifiuta:
     Filiberta a Rinaldo se ne va,
     E volentier da tutti fu veduta,
     E raccontò la sua calamità:
     E ’ncrebbe tanto di questa a Rinaldo,
     Che della impresa par più di lei caldo.