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canto quarto. 63

14 Disse Rinaldo: E’ fia di Satanasso
     Il cuoio che ’l serpente porta addosso,
     Poi che di punta col brando nol passo,
     E che col taglio levar non ne posso;
     E lascia pur la spada andare in basso,
     Credendo a questo tagliare al fin l’osso:
     Frusberta balza, e faceva faville;
     Così de’ colpi gli diè forse mille.

15 E quel lione lo teneva pur fermo,
     Quasi dicessi: S’io lo tengo saldo,
     Non ará sempre a ogni colpo schèrmo:
     Ma poi che molto ha bussato Rinaldo,
     E conoscea che questo crudel vermo
     L’ offendea troppo col fiato e col caldo,
     Se gli accostava, e prese un tratto il collo,
     E spiccò il capo, che parve d’ un pollo.

16 Fuggito s’ era Ulivieri e Dodone,
     Che i lor destrier non poteron tenere:
     Come e’ fu morto quel fiero dragone,
     Balzato il capo e caduto a iacere,
     Verso Rinaldo ne venne il lione,
     E cominciava a leccare il destriere:
     Parea che render gli volessi grazia;
     Di far festa a Rinaldo non si sazia.

17 Ed avviossi con esso alla briglia.
     Rinaldo disse: Vergin graziosa,
     Poi che mostrata m’hai tal maraviglia,
     Ancor ti priego, Regina pietosa,
     Che mi dimostri onde la via si piglia
     Per questa selva così paurosa
     Di ritrovare Ulivieri e Dodone,
     O tu mi fa fare scorta al lione.

18 Parve che questo il lione intendessi,
     E cominciava innanzi a camminare,
     Come se, drieto mi verrai, dicessi:
     Rinaldo si lasciava a lui guidare,
     Chè boschi v’ eran si folti e si spessi,
     Che fatica era il sentiero osservare:
     Ma quel lione appunto sa i sentieri,
     E ritrovò Dodone e Ulivieri.