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canto decimosesto. 339

72 Riscontrò Ulivier la damigella,
     E ruppe la sua lancia, e non la mosse,
     Nè piegò pure un dito in sulla sella;
     Ma in sullo scudo in modo lui percosse,
     Che cadde per virtù della donzella,
     E bisognoe che prigione suo fosse;
     E Ricciardetto gli fe compagnia,
     Acciò che gl’increscessi men la via.

73 E ’nverso il padiglion furno avviati;
     Rinaldo si ridea del suo fratello,
     Orlando gli dicea: Pe’ tuoi peccati
     Credo tu abbi perduto il cervello;
     Ma que’ che son di sopra coronati,
     Ben ti serbano a tempo il tuo flagello.
     Rinaldo, ch’avea il cor dato in diposito,
     Non rispondeva ad Orlando a proposito.

74 Per la qual cosa Orlando è insuperbito,
     E disse: Io giuro pel nostro Gesù,
     Che se ’l peccato tuo non è punito,
     In qualche modo io piglierò virtù
     Di levarti da giuoco e da partito,
     Chè con Antea non giostrerrai più tu,
     Ch’io gli darò la morte in tua presenzia,
     Per darti parte di tua penitenzia.

75 E disse: Antea, se vuoi, piglia del campo,
     Chè fia cagion del tuo morir Rinaldo,
     Ch’io ti farò sentir, s’io non inciampo,
     D’altro per certo che d’amor pur caldo.
     Disse la dama: Non c’è ignuno scampo,
     Se fussi, Orlando, più ch’un muro saldo,
     Io ti farò cader per tuo dispetto;
     Così ti sfido, e così ti prometto.

76 Orlando con grand’ira il destrier volse,
     E va sbuffando che pareva un toro;
     Così del campo la fanciulla tolse,
     Poi si voltò, che non fe ignun dimoro:
     Sopra lo scudo del buon conte colse,
     Credendo dargli il suo sezzo martoro;
     Ruppe la lancia, e non si mosse il muro,
     Come avea detto, tanto è forte e duro.