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canto decimoquarto. 287

28 Rinaldo, poi che liberati ci hai
     Da Macon, da Vergante, e dallo ’nferno,
     Non pensi tu che noi siam tutti omai
     Sempre tuo’ servi e schiavi in sempiterno?
     Ciò che domandi, a tuo piacere arai,
     Ed ora e sempre, vivendo in eterno:
     Faccisi tosto come vuoi la ’mpresa,
     Chè di tal caso a tutti assai ne pesa.

29 Rinaldo ringraziava tutti quanti,
     E poi per tutti i paesi mandava
     Subitamente messaggieri e fanti,
     E molta gente tosto s’ordinava;
     Vennono a corte a Rinaldo davanti.
     In men d’un mese vi si raccozzava
     Novantamila cavalieri armati,
     E tutti in guerra ben disciplinati.

30 E poi vi venne due giganti fieri,
     Con diecimila armati in sull’arcione,
     In punto ben di ciò che fa mestieri,
     Che rinnegato avien tutti Macone,
     E servivon Rinaldo volentieri
     L’uno e l’altro gigante o torrione;
     De’ quali aveva l’un nome Corante,
     E l’altro s’appellava Liorgante.

31 Costui, che molto amò già il suo signore,
     Poi che vide Rinaldo che l’ha morto,
     Non potè far non si turbassi il core,
     E disse con Balante: E’ morì a torto;
     E perchè io fui suo amico e servidore,
     Malvolentier quest’oltraggio comporto,
     Nè posso far ch’io non ne pigli sdegno:
     Per la mia nuova fe’ con voi non vegno.

32 Disse Rinaldo: E’ sarà forse il vero,
     Che meco non verrai, come tu hai detto,
     E morto resterai, gigante fiero,
     Chè tu non credi in Cristo o in Macometto.
     Era il gigante superbo e leggiero,
     E disse: S’io ti piglio pel ciuffetto,
     Io ti farò sentir ch’io son gigante,
     E forse vendicato fia Vergante.