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236 il morgante maggiore.

89 Diceva Gano: Alla barba l’arai;
     Tira pur su, ribaldo traditore,
     Che più le strade non assalterai.
     Or questo è quel ch’a Astolfo passa il cuore,
     E dicea: Traditor non fui giammai,
     Ma tu se’ traditore e rubatore,
     E quel che tu fai a me, meriti tue;
     Ma contro al mio destin non posso piue.

90 Io non posso pensar come il terreno
     Non s’apre, e non iscura sole e luna,
     Poi ch’a te, traditor d’inganni pieno,
     M’ha dato così in preda la fortuna;
     O crocifisso giusto Nazzareno,
     Non è nel ciel per me difesa alcuna?
     Questa è pur cosa dispietata e cruda,
     Da poi che traditor mi chiama Giuda.

91 Dov’è la tua giustizia, Signor mio?
     Non è per me persona che risponda:
     Che questo traditor malvagio e rio
     M’uccida, e con parole mi confonda,
     Nol sofferir, benigno eterno Dio!
     E tanto sdegno nel suo core abbonda,
     Che con quel poco vigor che gli resta
     Si percotea nella scala la testa.

92 Ma il manigoldo tuttavia punzecchia,
     Ed or col piede or col pugno lo picchia
     Quando nel volto e quando nell’orecchia,
     E pure Astolfo meschin si rannicchia;
     E tuttavolta co’ piè s’apparecchia
     Di rappiccarsi a scaglione o cavicchia;
     Ma con le grida la gente l’assorda,
     E ’l manigoldo scoteva la corda.

93 Alcuna volta la gola gli serra:
     Non domandar s’egli era un nuovo Giobbe.
     Un tratto gli occhi abbassava alla terra,
     Ed Avin suo fra la gente conobbe:
     Or questo è quel dolor che ’l cor gli afferra;
     Fece le spalle pel gran duol più gobbe;
     Raccomandògli sopra ogni altra cosa
     Il vecchio padre, e la sua cara sposa.