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canto decimo. 199

84 Orlando per ventura avea trovato
     Il destriere e la spada di Rinaldo,
     Ed era forte con seco adirato,
     E tutto quanto inanimito e caldo,
     Dicendo: Come un putto son gabbato,
     E parmi un atto stato di ribaldo,
     E più che ’l fatto il modo mi dispiace.
     E non potea fra sè darsene pace.

85 Intanto Ruinatto gli portoe
     La lettera, che ’l suo cugino scrisse;
     Orlando molto si maraviglioe,
     E ’nverso Ruinatto così disse,
     Se sapea nulla come il fatto andoe,
     E quel che per cammino intervenisse;
     E Ruinatto rispondeva presto:
     Io ti dirò quel ch’io ne so di questo.

86 E raccontò, come trovò quel vecchio,
     E come poi si posono a dormire;
     Orlando pone al suo parlar l’orecchio,
     Di maraviglia credette stupire;
     Ma poi diceva: Un pulcin fra ’l capecchio
     Par che mi stimi Rinaldo al suo dire:
     E così indrieto a Rinaldo scrivea,
     Che del suo minacciar beffe facea.

87 E che quando e’ partì da re Carlone,
     Esser dovea per certo un poco in vino;
     Però scambiò la sua spada e ’l ronzone;30
     E che sia ver, che dormi pel cammino.
     Poi gli diceva per conclusione:
     Perchè tu se’, Rinaldo, mio cugino,
     Voler con teco quistion non m’aggrada,
     Però ti mando il cavallo e la spada.

88 Ma se ’l mio indrieto non rimanderai,
     Io ti dimosterrò che me ne duole;
     E se quistion di nuovo cercherai,
     Tu sai ch’io so far fatti, e tu parole:
     E poco meco alfin guadagnerai,
     Chè sai che gnun non temo sotto il sole:
     Or tu se’ savio, e so che tu m’intendi;
     Il mio cavallo e la spada mi rendi.