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canto decimo. 197

74 Erminion rimase assai scontento,
     E i paladini a Carlo ritornaro:
     Carlo gli abbraccia cento volte e cento,
     E fu cessato ogni suo duolo amaro;
     Fecesi festa per la città drento;
     Ma questo a Ganellon fu solo amaro,
     Che per paura fuor s’era fuggito,
     E dubitava non esser punito.

75 Poi ch’alcun giorno insieme riposârsi,
     Dicea Rinaldo un giorno a Carlo Mano,
     Ch’avea pur voglia da lui accomiatarsi,
     E ritornare insino a Montalbano,
     E qualche dì colla sua sposa starsi.
     Carlo contento gli toccò la mano,
     E menò solo un servo molto adatto
     Del conte Orlando, detto Ruinatto,

76 Ch’era scudier compagno di Terigi;
     E mentre che cavalca, s’è abbattuto,
     Forse sei leghe discosto a Parigi,
     Dove giaceva un bel vecchio canuto.
     Questo era, trasformato, Malagigi,
     Tal che Rinaldo non l’ha conosciuto,
     Sur una riva appoggiato alla grotta,
     E d’acqua piena aveva una barlotta.

77 Rinaldo il salutò cortesemente.
     E’ gli rispose: Ben venuto siete;
     Se voi volessi ber, baron possente,
     D’una certa cervogia assaggerete,
     Che doverrà piacervi veramente.
     Rinaldo disse: Io affogo di sete,
     E di ber acqua di fossato o fiume,
     Quando cavalco, non è mio costume.

78 Quando Rinaldo ha bevuto a suo modo,
     A Ruinatto il barletto porgeva,
     Dicendo: Peregrin, di te mi lodo;
     E Ruinatto come lui beeva;
     E non sa ben di Malagigi il frodo.
     Malagigi il barletto ritoglieva.
     Rinaldo poco e Ruinatto andava,
     Ch’ognuno scese, e di sonno cascava.