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itĕ. Dĕ sů compagns n' aven bèll piè trëï o quatter. Alla fin l vèghen; ëi i tira sů stloppetades e ël sĕ sfrë́ia jů les balles scèque a sĕ paré les mòsces, perchí qu' ël fóa dlacé, dĕ maniera quĕ les balles ni passâ itĕ. Fora dela tana ni gnivel ed itĕ nĕ s' infidâ degůn’. Alla fin èl l Cir 1da Collfòsc quĕ dige: "I' l' ó pa begn desdlacé iů quëš maladëtt, gnide dô valgůn' con cordes e chavë́stri." Ditt e fatt. L Cir, n om dĕ forza e corragio scèque na laůrz, va con so drémbl jů per la fossa; revè d' impró i më́nel jů per l chè l drémbl, qu' a la forza dĕ desdlacé l strion. "Gnide ma şegn", digel, "oròn pa l liè e gi olláqu' ël alda."


Söla sëra fôl fora en Col dala Pelda 2 te porjun, porcí ch' iló fôl la signoria dla bachëta da

Codon, che fô dl conte Wolkenstein y chi da Colfosch fô ince sot chë Signoria. 

di schioppi, falci, forche e mazze. Quei di Gardena lo cacciano su per Valle e sparano giù da Stevia, e da Colfosco, dalla Villa e da Campil vi accorrono tanti, che ormai oggi gli è impossibile scappare. Egli stavasi nascosto in una fessura sotto una rupe. De’ suoi complici sen’avean presi ormai tre o quattro. Alla fine lo vedono; gli sparano addosso, ma egli rimanda tutte le palle come se si scacciasse d’attorno le mosche, giacché essendo coperto di ghiaccio le palle non potevano trapassarlo. Né egli usciva dalla spelonca ne c’era persona, che osasse entrarvi. Alla fine dice il Cerro, uno di Collfosco: „ Voglio ben sghiacciarlo io, questo maledetto; che alcuni vengano dietro a me con corde e funi. " Detto e fatto. Il Cerro, uomo di forza e di coraggio da orso, con una mazza in mano cala giù per la fessura; arrivato vicino allo stregone gli mena sulla testa un colpo, che ha la forza di sghiacciarlo. „ Ora venite ", dice il Cerro, „ leghiamolo e conduciamolo al posto, che gli spetta." Verso sera il Mosca trovavasi in prigione sul Colle della Pelda, abitando là la Signoria del di-

  1. Era questo un sopranome.
  2. È il tedesco,Bild*, e significa una casa a Santa Maria.