quale, a parer mio, è dimostrata una notabile differenza tra gli scrittori del nostro, e quelli del tempo antico. Molte similitudini traevano gli antichi, specialmente poeti, dalla natura fisica, e rare dalla morale; i nostri all’incontro non vi mettono troppo grande divario, se pure non ricorrono a questa di preferenza. Raramente trovate in Omero uomo paragonato ad uomo, spessissimo in Dante. Rimasi com’uomo che — e fui com’uomo che — — e qual e qual è quei che — e via discorrendo. Darebbe agio a discorso non vano questo genere di similitudini adoperato dal maggiore ’de’ nostri poeti. A’ di nostri di siffatte similitudini si è grandemente abusato. Spesse volte accade che la similitudine sia più difficile ad essere compresa, che non era l’oggetto cui si voleva dichiarare con quella. Ma, senza entrare adesso nella censura di questa pessima costumanza di poco esperti scrittori, si potrebbe proporre il problema: perchè ciò avvenga nei moderni, a differenza di quello praticavasi dagli antichi? Dovrebbe anche in ciò riscontrarsi un vestigio di quella loro abitudine di tenersi entro i limiti del sensibile? O ricavarsene un argomento a conchiudere che più poetiche erano quelle menti e quei tempi, se le arti imitano la corporea natura, anziche la immateriale, o di questa almeno si giovano a far comprendere quella? Sarebbero fatti gli uomini più meditativi e meno sensuali? O la spiritualità che rinnegano coll’opere, amerebbe-