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contemporanei e coi posteri il linguaggio dell’allegoria. A chi volesse spingere molto oltre il discorso, si presenterebbe niente meno che esso medesimo l’universo sensibile sotto l’aspetto di una vasta e profonda allegoria, la cui spiegazione è ritardata all’uomo tanto ch’egli sconta il suo tempo di prova fra le tenebre e la fatica. Ma non volendo toccare di questo, considerate le arti nel modo più generale, ch’è appunto il più proprio, che altro sono tutti i lavori ch’esse producono, fuorchè allegorie?
Non intendo già qui parlare di quelle allégorie che si adattano ad opera fatta dagli autori stessi, sconfidenti della propria virtù e soverchio obbedienti alle pretensioni della moltitudine letterata; o di quelle inventate da troppo benevoli commentatori, che credendo di tor via la ruggine dalle antiche pitture, le vengono con incredibile pertinacia graffiando, tanto da rubar loro il colore. Torquato Tasso ha dato una prova molto famosa di ciò che possano gli autori su questo conto; e più famosa gl’innumerabili che annotarono la Divina Commedia di quanto possano i commentatori. Ogni fatto passando dalle mani dello storico a quelle dell’artista perde necessariamente gran parte della propria individualità: non è più narrazione ma diventa rappresentazione; in ciò sta appunto, se non m’inganno, tutto il mistero e l’eccellenza dell’arte. Se l’artista non altro facesse che ri-