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d’ogni anno, fa ala, per vederseli sfilare davanti, sono queste le vere maschere che mi vanno a sangue, e delle quali io prendo un qualche piacere, quantunque non urti chi mi precede, né desideri punto d’essere urtato da chi mi segue, se mai m’imbatto in esse lungo la strada. Le maschere taciturne e solitarie, così dette pulite, mi riescono indifferenti, o mi fanno, tutto al più, se abbigliate con gusto, e ben portanti della persona, quel senso di compiacimento che traggo dal vedere una moda recente iudosso a una leggiadra signora, o a un bel signorino.
Due parole anche dei balli. Le feste di ballo mi paiono anch’esse partecipare della parodia. Sono persone che imitano il furore di chi sia preso da una grande allegrezza. Si abbandonano colla testa all’indietro, come sdilinquissero dalla gioia, sollevano le braccia come per acclamare; saltano da terra tanto alte, perchè la terra non è più capace a contenere quest’anime che hanno finalmente trovata la loro felicità. Dopo i loro movimenti, considerate le loro vesti. Si pongono, naturali o posticce, secondo i casi, grandi masse di capelli; freschi o artifiziali, si circondano di fiori; proprie o d’altrui, si chiudono in vesti eleganti e sfarzose. Quest’è la parodia della gioia. Deve credersi che tante persone dal detto al fatto siano diventate felici, come mostrerebbe quella loro ebbrezza? O che la loro felicità si derivi dal compagno