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passibile; fanno un gesto di ammirazione, che voi vi sentireste inclinato a strignervi nelle spalle; sono colti dalla tosse per l’augoscia che loro dà il favellare affrettato, mentre le vostre fibre si distendono sotto l’influenza della noia; continuano gli ah! gli oh! i veh! e simili, quando voi tranquillamente badate a nettarvi il vestito che v’inrugiadarono parlandovi di fronte, o distendete il braccio intorpidito sotto la gagliarda impressione del parlatore, che trasfondeva nelle dita l’efficacia di cui mancava la lingua.

Confesso che molte volte il mio silenzio deriva dallo studio che fo per intendere, molte altre dal timore di non farmi intendere io stesso. Scappano certe parole da certe bocche con tale accento da maravigliarne, senza speranza di averne netto l’intendimento. Grazie dice un tale, e il dice per modo, e in tal punto, che ne rimani balordo. Intanto all’intelletto degli uditori si dipingono un’infinità d’idee disparatissime. Grazie! C’è chi pensa al lotto. Grazie! V’ha chi corre coll’immaginazione ad un rescritto sovrano. Grazie! Fuori i dialoghi del Cesari, e le quistioni intorno alla lingua. Grazie! Il gruppo di Canova, i frammenti del Foscolo. Grazie! Le tavolette appese all’altare per un incendio, per una caduta. Grazie! Un tempietto, o meglio chiesuola, con la facciata protetta da qualche albero che soavemente frascheggia allo spirare del venticello serale. E tutti potrebbero rispondere