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dividuo; cercata la virtù in quell’estremo confine dov’essa sta per mancare, e spesse volte abbracciata al vizio, per modo da sembrare intrinsecata con esso; è questa l’espressione del tipo, al quale più o meno si accostano presso che tutti i lavori della scuola Titanica. In questa espressione sono più o meno esattamente compresi i Fausti, i Manfredi, quali enti puramente immaginarii; i Frollo, i Corsari come possibili; i Sardanapali e le Borgia, come reali. Nella sfera stessa si aggirano tante concezioni mirabili, sebbene grottesche; tante amabili creature,che colla loro apparenza allettatrice rendono desiderabile l’avveramento di sogni che per altra parte ci fanno inorridire.
Non negherò che le forze morali, idoleggiate in alcuno di questi moderni poemi e di questi moderni romanzi, non esistano; ma il difetto, a parer mio, sta nel riprodurle troppo frequentemente, e con troppo generici lineamenti. La disperazione, a cagion d’esempio, ha sempre avuto chi la celebrasse col racconto dei proprii dolori; e l’antichissima canzone di Fazio alla Fortuna mostra abbastanza come fossero proprii della nostra poesia nella sua robustezza più giovanile que’ sentimenti, che alla spossata vecchiaia del nostro tempo è convenuto imparare dai forastieri. E anche in mezzo a questa misera decrepitezza i canti di Giacomo Leopardi hanno quella intensità di dolore, che le esagerate imita-