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sione e un po’ di realtà, frammischiate in modo fra loro, ch’egli è necessario il più fino acume dell’intelletto a conoscere il punto dove termina questa, e quella comincia. Hanno un bel dire e un bel fare certi tali che presumono mantenersi tranquilli di mezzo alle continue vicende delle cose; anche ad essi conviene talvolta l’andarne attorno cogli altri, turbinati dal vento della collera, dell’amore, e, non foss’altro, della presunzione.
Nè si creda che il porsi a guardare tutte le cose da solo quel lato, che sembra a noi il meglio esposto al lume della realtà, sia rimedio bastevole a non rimanere sopraffatti dall’illusione; molte volte l’illusione sta appunto in ciò di crederci tali ch’essa non possa prenderci campo addosso, come accade nella più parte de’ nostri fratelli. Dovrem dunque lasciarci andare a discrezione della fantasia? Nemmen questo si ha da fare, chi voglia che la ragione non si rimanga inoperosa nel suo cervello. Che dunque? Tenerci nel mezzo; ma qui appunto risiede la difficoltà più massiccia. Non intendo adesso dar regole per ben notare quel punto, pressochè impercettibile, in cui l’illusione si scompagna dalla realtà; mi basterà per ora rendere avvertiti i lettori, che ogni oggetto nel quale si occupa il nostro discorso ha due lati, secondo i quali può essere diversamente considerato.
Che bella luna! sclama Fulgenzio. Ed è una