quei principii sui quali avevamo fondato il nostro ragionamento, a volerne scoprire la fallacia. Ho scritto un altro discorsetto (n.º xi) circa i giudizii che pronunziansi dai fanciulli, la cui giustezza vuolsi attribuire al non essere punto il loro intelletto preoccupato all’atto del giudicare. La vita degli uomini si può dividere in due stadii: tanto che ci troviamo nel primo, facciamo una copiosissima incetta di fatti, ed esercitiamo più che altro la memoria; passati dal primo al secondo, esercitiamo la riflessione sopra queste collezioni di fatti, li disponiamo con certo ordine, e da indi i nuovi che ci cadono sotto l’occhio vengono da noi collocati al loro posto. Se i principii, secondo i quali si fa da noi questa collocazione, li avessimo abbracciati in forza di esami fatti a mano a mano che i fatti ne si presentavano, ciò sarebbe un seguire l’ordine naturale delle cose, e potremmo essere certi che quanto da noi si stimasse vero fosse in corrispondenza di ciò che concorse a mostrarcelo tale; ma il giudizio altrui, che non dovrebbe aver più di autorità che un fatto, viene ad intromettersi nel nostro ragionamento, e a prevenire la lenta, ma sicura opera del tempo e della riflessione. Di qui l’intempestivo esercizio dell’intelletto, quando dovremmo contentarci di adoperar la memoria; o, a meglio dire, il credere di adoperare l’intelletto nostro, quando non altro facciamo che col mezzo della memoria giovarci dell’intelletto d’altrui.