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Appunto. — Girando la cantonata che mette... — Non c’è dubbio. — Mi scontrai in... — Ci avrei scommesso! Questa è formula di discorso che udrete ripetere assai di sovente, cangiata forse alcun poco nell’espressioni, ma poco diversa nella sostanza. Tra questa balorda credulità, che mortifica le più nobili facoltà del nostro intelletto, e la malvagia diffidenza che le pervertisce, per poco che la mia scelta non rimarrebbe perplessa, in onta a quel mio naturale ribrezzo del sospettare che ho fin dalle prime confessata. Al credulo si fa rugginosa la memoria, si spunta la volontà, l’attitudine al raziocinio rimane prostrata. Non così del credente, il quale tenendo sempre vivi in sè stesso i fondamenti del retto discorso, gl’impiega a condegnamente apprezzare quel tale cui ne deve far dono.
A due capi per tanto riescono tutte le ciance fatte finora. Primo, a non reputare la credenza prerogativa d’ingegni poltroni, bensì doversi stimar tale la credulità; secondo, a non credere che si possa onorare chicchessia facendosi credulo a quanto da esso si dice o si fa, bensi potersi ciò ottenere credendogli dopo quel tanto esame che rende diversa dalla credulità la credenza. E qual pro da questi due capi? La credulità genera la debolezza, vuoi fisica, vuoi morale; la credenza la forza: da quella gli uomini rimangono a caso addossati come le pecore ignare; da questa si trovano congiunti in one-