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un dato confine di tempo. Sempre però richiedesi in prevenzione un esame, più accurato ed esteso nel primo caso, più sbrigativo, ma da dover essere indi a poco ripetuto, nel secondo. Ciò posto, può egli dirsi che il credere ignorare, e che la buona fede sia da confondere culla dappocaggine?

Il credere senza esame di sorte, ch’è credulità, non è cedere la porzione del nostro intendimento perchè sia adoperata alluopo da altri, come abbiamo detto accadere nella credenza; nessuno difatti può concedere ad altri ciò che non possiede egli stesso. Il credulo adunque noa può dirsi che creda, bensì che ignori e lasci ad altri il sapere. Qualunque sia la lingua nella quale altri gli parli, per esso è tutto uno; tanta cura si prende egli del significato delle parole, quanta della coscienza e dell’ingegno del parlatore. Si farebbe a questo imbecille un onore ch’egli non si merita, con aggregarlo a quella comunione di sapienti che si regolavano secondo il principio dell’Ipse dixit. Tra il maestro e il discepolo non c’è divario; hanno ambidue la stessa autorità al suo tribunale. Il teologo giovinetto, che, udendosi dire dal maestro dell’asino che volava, corse alla finestra a vedere, non era de’creduli, ma de’ credenti; e anzichè dar luogo alle beffe de’ suoi compagni, col magnanimo assoggettamento del proprio intelletto alla ragione di quello, cui correva obbligo sopra ogni altro