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bito odore di balordaggine; nel secondo, attribuire anche i trascorrimenti della ragione a soverchianza d’ingegno?

Molte sono le cose che potrebbero dirsi in questo proposito; a me basterà di notare per ora una di quelle che stimo principali cagioni a siffatti torti giudizii, il confondere cioè colla credenza la credulità, quantunque tra loro grandemente diverse. Sì, il fondamento de’ gravi errori ne’ quali incorriamo a giudicare della buona fede sta in questo, che prendiamo presso che sempre il credere per sinonimo d’ignorare. Credere non è sapere, mi si risponde; ma io soggiungo, che credere non è né anche ignorare. Se io ascoltassi un tale parlare una lingua da me non intesa, potrei dire ragionevolmente di prestar fede a quel dato racconto, che in quella data lingua mi fosse fatto? A ben considerare la cosa, altro non è il prestar fede al detto d’altrui, salvo che il far altri depositario di quel capitale di buon senno che crediamo ci abbia dato madre natura; nel che alcuna volta ci accade che il capitale ne frutti, alcun altra che rimanga scemato, secondo la dose di buon giudizio e di alacrità che ha colui, cui affidiamo di fare in vece nostra un uffizio tanto importante quanto si è quello del ragionare. In due modi si può da noi fare questa cessione rilevantissima; o assolutamente senza limitazione di tempo e di argomenti, in riguardo alla persona; o spezialmente, rispetto ad un solo fatto e dentro