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tando? No, mai; ma quanti sono i casi nei quali possiamo credere di avere propriamente la verità dalla nostra parte? Oltrechè, come abbiamo fino da principio notalo, quanto diciamo si vuol prendere con discrezione, e come discorso di chi si pone al pericolo di toccare un estremo col solo fine di ritirare le genti dall’estremo opposto.
IV.
LA CREDENZA E LA CREDULITÀ.
Pochi hanno, credo, la diffidenza in quell’orrore che ho io; pochi in maggior concetto la buona fede. Quella può considerarsi come forza nemica che risolve e disperde, questa come forza propizia che raccoglie e congiunge. Dalla prima procedono virtù passive e colpe vigliacche; dalla seconda virtù attive e magnanimi errori. La virtù si trova frequentemente in compagnia della seconda; il delitto non può far lega che rado, o mai, colla prima. Concorrono nella buona fede il cuore e l’ingegno; quando parla da diffidenza il cuore sta zitto. Ma perchè dunque si ha un certo, quasi dirò, involontario disprezzo della buona fede, quando ecceda anche un poco soltanto i limiti della prudenza? Perchè un certo involontario rispetto, o per lo meno una certa involontaria ammirazione per la diffidenza, quando anche sia delle più ributtanti? Perchè nel primo caso, sentir su-