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scriveva non potersi chiamare amici que’ de’ malvagi, ma loro complici; similmente i voluttuosi non altro avere che compagni negli stravizzi; i trafficanti degli associati alle loro speculazioni; e via discorrendo. La moltitudine degli amici è fatta per chi non si vergogni di confessare da senno ciò che Chamfort protestava scherzando: ho amici che mi amano, amici cui sono indif ferente del tutto, amici finalmente che mi detestano. Quando si considerasse l’abuso grandissimo che si fa da tutti di questo sacro vocabolo, bisognerebbe credere che tutti dal più al meno fossero nelle condizioni di Chamfort. A cominciare infatti dal collegio, e via via distendendoci fino all’ultimo termine della vita, audiamo tutti rammassando amicizie, con quel buon giudizio stesso con cui il ragazzino insacca sassolini e conchiglie sulla riva del mare; quando ne ha piena la tasca, si è procacciato peso ed ingombro, non altro.
Essendo l’amicizia un tesoro, che follia non è quella di pensare che se ne possa far acquisto con poca o con nessuna cura? L’amicizia è una merce particolare che domanda una particolare moneta ad essere convenientemente acquistata. Voglionsi atti virtuosi che si guadagnino l’altrui stima, e dimostrazioni di benevolenza che attirino consimili sentimenti. Ora, è malagevole il guadagnarsi la stima di tutti, o almeno ottenere da tutti quel tanto grado di stima che è neces-