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del proprio giudizio; ossia non si sente animo di condurlo ad atto, simili a coloro cui sembra in sogno di essere inseguiti e non possano muovere un piede a fuggire. La condizione di cotestoro è pur deplorabile! Si attengono a un solo ramo, forse il più fragile dell’albero e pendente sur un precipizio, e quando sentono ch’esso comincia a spiccarsi dal tronco, anzichè afferrarne altro, si stringono più fortemente a quel primo a costo di rovinare con esso. Torniamo a ripeterlo, sono pur deplorabili quest’infelici!

I loro discorsi hanno sempre il ritornello di quella idea a cui non possono mai sottrarsi, corno fosse un prestigio. Parlate con un pedante di drammaturgia, vi dirà per primo che ci vogliono le unità. Mostrate ad esso che ci sono delle unità arbitrarie, che fanno contro all’ordine naturale delle cose, udrete soggiugnervi: che ci vogliono pur sempre delle unità; provatevi a ripigliare ch’egli e appunto per amore della vera verità che volete sceverare da essa quanto v’è di fittizio, il pedante, come aveste contraddetto il suo principio, non rimarrà di ripetere: senza unità non v’è bello, il bello non può mai scompagnarsi dall’unità. Di simili ritornelli ne udrete ad ogni poco, solo che vogliale badare ai discorsi che fannosi comunemente. Dopo reiterate osservazioni ho conchiuso di non prestare gran fede alla dottrina di chi mi parla colla ricorrenza continua della medesima idea. Egli è come di chi ha