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è uomo morto. Ha del morto tutte le parti fino al puzzo. Non però la riverenza che comunemente tributasi a’ trapassati; e nemmeno la buona raccomandazione di quelle lodi, che si leggono, il più delle volte con offesa della verità, sul coperchio delle sepolture. Il povero è cadavere gettato a caso ad ingrassare le ortiche del cimitero. Ricordomi di un passo di Euripide nella sua tragedia Ifigenia in Tauride. Ifigenia domanda al fratello Oreste, approdato allora allora in quell’isola, e da lei non conosciuto, che le dica il suo nome; e l’altro, che aveva certe sue buone ragioni per non iscoprire il proprio nome, le risponde presso a poco del seguente tenore: cercate un nome in cui siano comprese tutte le umane miserie, e l’odio degli dei; un none atto ad esprimere ciò che vi ha di più infelice e di più doloroso; e senza che lo udiate dalla mia bocca, avrete da per voi stessa notizia del mio nome. Ecco di qual maniera il figlio d’Agamennone definiva esattamente, senza volerlo, l’idea racchiusa in questa parola povero.
Abbiamo detto ch’esso è quantità negativa, che non ha peso alcuno nella bilancia dei nostri giudizii. Notate però che ciò deve stimarsi detto soltanto riguardo al bene, chè quando trattasi del contrario l’esser povero equivale anzi a gravissimo pondo. Mi spiego. Al vedere del povero nasce prontissima la presunzione di avere sottocchi l’uomo inerte, il buono da nulla, o per