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dimento, cui ci sentiamo portati violentemente a cercare e ad amare pel guadagno di piacere che ce ne deriva. Per tal modo rimane diciferato come si possa amare e tormentare la stessa persona. Ben è vero che qui il vocabolo amare si prende nella significazione più universale, e che meglio direbbesi animalesca.

Oltre a quanto s’è detto finora, la disposizione ad aspreggiare il nostro prossimo è suscettibile d’infinite gradazioni e diramazioni. Altri si contenta di non più che sfregiare la pelle col caustico de’ sarcasmi; altri invece non domanda meno dell’ultima convulsione, e finchè non sia giunto a quel termine disperato non sa restare dal suo atroce lavoro. Fulgenzio, che appena sa di un sinistro accaduto a Tiberio si dà faccenda per ritrovarlo e fargliene la relazione, e quando ancora fosse per tempo non bada a destarlo, tiene il mezzo di due estremi. Non saprebbe inventare una trista novella, ma non c’è pericolo che la indugi di un’ora a chi deve restarne trafitto.

Molti altri vizii s’innestano alla sciagurata inclinazione di cui parliamo, i quali agli occhi de’ meno veggenti si pongono in luogo di essa. E per superbia, per avarizia, per invidia, o per simile altra passione, che si dice assai spesso, Caio esser vessato da Tizio; no, signori miei, la superbia, l’avarizia, l’invidia, o qualsivoglia altra passione, non sono che innesti rampollati sul