po, era solito di trattenermi non poche ore, ci aveano due quadri rappresentanti la famiglia del contadino che invita il satiro a saggiare della polenta testé rinversata. La favola del satiro è a tutti nota: com’egli, dopo essersi la prima volta scottato colla vivanda bollente, non osasse la seconda accostarla alla bocca. Da quel fatto se ne trae anche un’altra moralità, ma mi contento di questa che fa proprio al mio caso. Ora que’ quadri erano dipinti da certo abate — ah molliter ossa quiescant! — che visse oltre a novant’anni, tuttoche studiosissimo di latino e di greco notte e giorno, e maestro di gioventù il più del suo tempo; e forse che giunse a tale decrepitezza per merito del buon umore e del violino che suonava nell’ore de’ suoi diporti. E quell’abate a chi credeva ogni cosa, fossegli detto che i gamberi avevano posto il nido sui gelsi; a chi non credeva nulla, quand’anche la verità del racconto fossegli fatta toccare con mano. Ah molliter ossa quiescant! Ed ora ch’egli è sotto terra non so se vorrà più negar fede a nessuno, o se a nessuno verrà voglia di andargli a piantar carote nel campo santo. Finch’era vivo, come udivasi raccontare alcuna cosa che avesse sentore di falsità, se ne sbrigava con un paio d’arcate del suo violino. Benissimo! diceva, a meraviglia e giù con quanta forza gli avevano lasciato sul braccio i suoi novant’anni. Ah molliter ossa quiescant! E basti di lui. Vedine la