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niosa loro ambizione. Che razza di gentilezza o di bontà possa avervi in costoro, lascio giudicare a chi ha un po’ d’intelletto, quando anche sia affatto mancante del cuore. Ed ho conosciuti ancora taluni i quali dei benefizij che fatti non hanno s’ingoiarono tranquillissimi, se già non carpirono a viva forza, le lodi. La gentilezza in questo caso stava tutta, mi penso, dal lato di chi lasciava correre quella ingiusta opinione, e tollerava di apparire beneficato quando non più riceveva che la pattuita mercede. Questa sarebbe forse chiamata da più d’uno debolezza, stnpidità, o peggio ancora, e non mai gentilezza; veramente ci ho un gran scrupolo anch’io ad accordarle un nome sì bello.

Conchiudasi: io venererò sempre chi è buono, ma sento che non saprei essere amico di chi non fosse pure gentile. E che cosa io m’intenda per amico forse che sia l’argomento di un altro mio discorsetto, quando un tema migliore di questo non mi sappia venire alle mani.

VI.

MISANTROPIA ED EGOISMO.

Veggo tanto spesso scambiarsi per egoista il misantropo, e questo per quello, ch’egli mi è venuto pensiero di definire del mio meglio che cosa sia l’uno e che l’altro; indagando, oltre a