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compiuto il codice della gentilezza. I tempi, i luoghi, le condizioni, i costumi diversi, assai poco contribuiscono a disferenziare le regole secondo le quali un’azione può essere chiamata buona o altrimenti, laddove questi stessi accidenti grandemente influiscono a rendere tale o tal altra azione gentile, e cosi del contrario.

Potrà sembrare a taluno, se già non sembra a moltissimi, che questo mio discorso della bontà e della gentilezza non sia tanto ingiusto quanto sia vano, perchè le cose da me dette non vi sia chi le ignori, e se vi ha cui siano ignorate, quando ancora ne rimanesse per le mie parole instruito, l’istruzione non esser bastante a cagionare la pratica, che di tali fatti è la parte più rilevante Questo pensiero mi fa recidere senza più quelle alcune osservazioni che avrei potuto soggiungere di vantaggio, tanto più che le principali mi sembra di già averle scritte. Non voglio tormi per altro al colloquio de’ miei lettori, che prima non abbia dato loro avviso di una bontà molto nuova e bizzarra, se già non si deve chiamarla singolarissima ipocrisia.

V’hanno di quelli, ai quali mancando l’animo e il modo di profittare i loro fratelli, ne vogliono avere ad ogni costo la fama. Sollecitati da questa ambiziosa cupidità, non è da dire quali basse arti essi adoprino a ben riuscire nel loro intento. Crocifiggere il loro protetto per farlo risuscitare è quel di meno che tentino nella sma-