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V.
BONTA’ E GENTILEZZA.
Se vogliamo considerare queste due parole secondo il significato che viene loro attribuito dagli scrittori, scambieremo assai facilmente l’una per l’altra. Più facilmente ancora correrebbe rischio di cadere in siffatto scambio chi badasse soltanto all’uso, o direm meglio all’abuso, che vien fatto delle parole suddette ne’ familiari discorsi. Il tale è buono, e sarà dir troppo poco; tal altro è gentile, e non era da dire che buono. Parmi di avere con ciò confessato tener io la gentilezza per cosa diversa della bontà, e per una, quasi dirò, bontà più squisita.
Senza punto curarmi delle improprietà delle applicazioni più dozzinali mi arresterò a quelle nelle quali inavvertitamente pur cadono gli uomini del più retto senno e del sentimento più fino. Quante volte non vi sarà toccato di udire chiamar buono chi altro al mondo non fece-salvo che tenersi lontano dal commettere cattiverie? Quanto a me, non conoscendo virtù inoperose, s’egli è vero che ci sia iu noi un principio attivo continuamente, di questi cotali dico più volentieri che siano dissanguati che buoni, e soscrivo con tutto l’animo alla opinione di chi li chiama col nome di tiepidi, e li bandisce da ogni