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perarsi con ogni studio a buscarsi fama di bruttezza, e per poco non direi di deformità. Non intendo qui parlare delle fogge stravaganti di acconciature che si usano da taluni, atteso che il disegno di questi tali è pur sempre di giovare la propria bellezza con quegli artifizii. Bensi il mio discorso si riferisce alla strana stizza in cui ho veduto montare qualcuno all’udirsi dire: oh il bel giovine che sei! No signori, si conveniva dirgli, chi avesse voluto dargli nel genio: che fisonomia truce! che ciera da suicida è la tua! Non sono invenzioni, nè esagerazioni; per poco che abbiate conversato con giovani del nostro tempo, vi dovete essere abbattuti in chi trovasi occupato da una tale mania. Non soffrirebbero di essere chiamati angeli, se non vi fosse luogo ad intendere angeli inabissati.

Ciò che s’è detto della bellezza esteriore o fisica può ripetersi della interiore o morale. Sono molti ai quali il dire: buono, gentile, amabile giovane è poco meno che un insultarli. Dovete dir loro ch’ei sono stizzosi, stravaganti, selvaggi. Che farne di un giovane cuore a cui il rimorso non passeggi per entro rodendolo, come il verme nel bottone di una rosa? Devono essere sempre alla vigilia di commettere una qualche scelleratezza, o per lo meno vivere disperati di trovare mai requie quanto ad essi saprà durare la vita. Il dottor Fausto, Manfredo, e simili personaggi fantastici sono i tipi