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pedire o a ritardare per lo meno il suo nobile volo. Al qual proposito mi sovviene aver letto che l’uomo dotato di quella particolare elevatezza di sentimento e d’ingegno, che con vocabolo complessivo s’intitola genio, ove si lascia portare ad alcuna impresa, ha in sè medesimo un presagio non punto fallibile che lo assecura. L’ipotesi di questo presagio, oltrechè potrebbe essere combattuta con assai buoni ragionamenti, avrebbe anche contro di sé l’esperienza; ma dato pure che ciò fosse vero, non altro significherebbe, a parer mio, fuorchè quegli occulti legami delle cose, che ad altri domandano non picciolo studio e non breve spazio di tempo ad essere debitamente conosciuti, agli uomini così detti di genio, lasciamo correre la frase, presentarsi in certa guisa spontaneamente, e, per usare un vocabolo tutto proprio delle scuole, non che altro, per via d’intuizione.

Lasciando ora il discorrere del sentimento ch’esser dovrebbe proprio di ogni uomo nel farsi a giudicar di sè stesso, passiamo a parlare intorno ai giudizij che si pronunziano sul fatto altrui. Quando siano sembrate inutili ciance, o poco meglio, quelle fatte finora, non vorranno credersi, a quanto ne spero, affatto inutili le osservazioni che verrò facendo in appresso. Nel giudicare pertanto di una azione, oltre all’aver in mira il punto dov’essa ebbe origine, ch’è per lo più la persona da cui fu eseguita e il punto ove essa azione andò