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sogno, e la voglia di affettare quella trista condizione dell’animo che chiamasi noia.

Fin qui s’è parlato della falsa o apparente, ma v’è pur troppo una noia vera, profonda, inviscerata in alcuni individui, la quale, anziché domarsi coll’opera dell’ingegno, si alimenta e si accresce, ed è da riporre, fra le malattie più funeste dell’anima, e contro la quale, come quella ch’è estremo male, sono da adoperare estremi rimedij. Non foss’altro il dolore. In questo senso savissimo è il detto: piuttosto dolore che noia. Difatti non potrebbe considerarsi la noia come il più terribile de’ flagelli, ond’è punita la creatura ribelle che vorrebbe sottrarsi alla propria destinazione? Certo chi ha provato la noia di cui parlo, e se l’ha sentita pesare sul cuore in tutta la sua spaventosa enormezza, torrebbe, credo, di rimanere tormentato da ogni altro supplizio, anziché da questo. Nulla io trovo di simile a questa terribile noia se non forse la disperazione, che assai facilmente potrebbe esser presa per essa. A chi coll’assaggio del pomo voleva guadagnar la sapienza fu dato in gastigo l’ignoranza; a chi getta lontano da se il carico del dolore, che tutti dobbiamo, qual più qual meno, portare, piomba in collo la noia, che, senza ischiacciarlo d’un tratto, se lo fa mancar sotto passo passo.

Conchiudasi: a cansare la noia, quando ne sia conceduto di averne sentore, è da tenersi ab-