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priamente ristucco! Altro è sentire nell’anima quel tacito e penosissimo tarlo che, senza mai annichilarla, la rode. La pena dell’antico Titano, condannato al morso continuo dell’avoltoio, è simbolo efficacissimo a rappresentare il fastidio intollerabile di cui parliamo. Se questa favola nobilissima non fosse stata adoprata a significare importantissime verità, io ne avrei fatto uso assai volentieri in questo proposito della noia. Quanto opportunemente sarebbero concorse nel mio disegno le altre avventure che la mitologia ne racconta di quell’infelice benefattore del genere umano! E quell’Io sempre misera e gemebonda, che viene a cercare conforti da chi è legato al macigno e non può che cianciare? Messe di fronte due infelicità tanto simili nella loro discrepanza; dell’ardito profeta, alla cui animosa necessità d’operare non è conceduto staccarsi nè anco di un passo dalla sua rupe; dell’innamorata fanciulla, a cui bisognando il riposo è forza di errare senza termine di luogo e di tempo! E ambidue incessantemente cruciati dal tafano e dall’avoltoio!

Ma perchè mai molti affettano l’annoiato? Per quelle stesse ragioni, nè più nè meno, che molti affettano il malinconico, lo stravagante, il collerico e via discorrendo. Appunto perchè non s’annoia chi prima non abbia nuotato nell’abbondanza, con questa mostra della noia presente intendono far presumibile, a chi si contenta delle