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Spiro, al cui nome il dì spuntò devoto,
     Ch’or d’augurii satollo in mar si getta,
     Espresso da’ miei labbri è ingenuo il voto;
                                                  16Il cor mi detta.

Volse stagion che d’improvvisi accenti
     Al labbro m’abbondò fervida piena,
     Or da lunga i miei versi escono lenti
                                                  20Sudata lena;

E sotto il morso dell’ingrata lima
     Imparano a schernir l’età fugace,
     Ma non vien meno alla pensata rima
                                                  24L’esser verace.

Oh sì, verace! E qui dove dell’oro
     Riverberato in cento parti è il raggio,
     Con schietto verso il mite animo onoro
                                                  28E il voler saggio.

Vano ingombro i tappeti e i molli seggi,
     E il lampadario che la notte avviva,
     Quando fra gli alabastri e l’or serpeggi
                                        32Cura furtiva.

Ingrato il fumo de’ sorgenti incensi
     E de’ cembali ingrata l’armonia,
     E quanto estranio lusso ai ricchi censi
                                        36D’Italia invia.