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XXXI.
A MIO FRATELLO GIUSEPPE.
Te l’Apennino e il gran fiume romano
Tengon diviso dalle tue lagune,
Ma i guai saputi, onde non visse immune
4Nessun de’ tuoi che te piangon lontano,
Men ti dorrà se desiato invano.
T’ebbi, o caro, pur tante e tante lune,
E ancor n’è tolto giugner mano a mano,
8E le corse narrar guerre e fortune.
Chè quando, oggi pur fosse! (e lunge molto
Il dì ne temo) a noi men rea ventura
11Ti renda e al patrio lido ond’eri tolto,
Posar dispera tra l’avite mura,
E il dolce riveder materno volto,
14Che tra l’euganee zolle ha sepoltura.