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XVIII.


Qui dove il picciol monte al rezzo imbruna
     Della foresta che sovresso pende,
     Pensoso erro dov’orma appar nessuna
     4Lungo Anasso che rapido discende.

Qui vissi infante e m’adescò fortuna
     Per cammino di prospere vicende,
     E lieto amoreggiai gli astri e la luna
     8E l’äer quanto il vago occhio ne prende.

Ed or, non più fanciullo, e de’ funesti
     Pensier che meco stanno impresso il volto,
     11Riparo all’ombra de’ più densi rami;

E sempre veggo, ovunque il passo arresti,
     Nero un crine e due ciglia, e sempre ascolto
     14Voce di chi sta lunge e par che chiami.